FromSoftware vs Team Ninja: il "papà" dei soulslike ha trovato un degno rivale? | GamesVillage.it

2023-01-06 14:21:56 By : Ms. Sara Chan

EditorialiFromSoftware vs Team Ninja: il “papà” dei soulslike ha trovato un degno rivale? Salvatore Cardone 15 Dicembre 2022 Salvatore Cardone 15 Dicembre 2022 Il termine “soulslike” ha invaso e monopolizzato la sfera videoludica dell’ultimo decennio. La sopracitata nomenclatura, coniata un po’ “per scherzo” per identificare una determinata e specifica tipologia di produzioni, ha finito col diventare un pezzo fondamentale del medium videoludico, con una forza e una velocità di diffusione impensabili e inimmaginabili. Sono passati ormai quasi quindici anni dall’arrivo sul mercato del primo “Souls”, quel Demon’s creato dalla visionaria mente di Hidetaka Miyazaki e dai ragazzi di FromSoftware – di cui abbiamo anche goduto di uno splendido remake qualche anno fa, targato Bluepoint Games – che, in maniera completamente ignara, all’epoca, ha rappresentato il pioniere di un sottogenere videoludico destinato a fare la differenza. E proprio dal nome Demon’s Souls e successivamente Dark Souls (e “figli”) nasce il concetto di “soulslike”, che si è affermato definitivamente soprattutto quando altre compagnie hanno provato a replicare, con fortune e metodologie diverse, il lavoro di FromSoftware, proprio con dei prodotti “ispirati a” e con cui, ovviamente, il termine “soulslike” ossia “come i Souls”, si è sposato a pannello. Come dicevamo poc’anzi, però, non tutti (in realtà in pochi) hanno saputo centrare il target prefissato. Riuscire a “replicare” il lavoro di From non è affatto facile e, per quanto in tanti ci abbiano provato in maniera anche coraggiosa, è chiaro che non tutti hanno centrato il difficile obiettivo. Per fortuna, però, alcuni sviluppatori hanno saputo tirare fuori il proverbiale coniglio dal cilindro, riuscendo a confezionare dei “soulslike” che rappresentano al meglio il termine stesso: come i souls, ma non una copia esatta. Anzi. E, ovviamente, quello che si è affermato maggiormente è senza dubbio Team Ninja , capace, coi suoi lavori, di diventare una sorta di principale “antagonista” di From nella concezione della tipologia di giochi in questione. In che modo? Scopriamolo insieme, in questo viaggio all’interno di uno dei più apprezzati dualismi degli ultimi anni in salsa videoludica. Team Ninja, tra Ni-oH e il futuro chiamato Wu Long: i “soulslike” secondo i creatori di Nioh e Dead or Alive Partiamo subito da un’importantissima precisazione: Team Ninja non ha mai “copiato” FromSoftware, né vuole farlo, nella creazione delle sue opere principali a tema, ed è stata proprio questa la principale fortuna del team fondato da Itagaki-sensei. La compagnia che ha dato i natali a opere stilose quali Dead or Alive e al reboot in salsa stylish action di Ninja Gaiden ha lavorato a testa bassa, lasciandosi trasportare non tanto dalla voglia di provare ad imitare i dogmi delle produzioni della concorrenza, bensì cercando di plasmarne la natura in base ai propri concetti imprescindibili e alla propria visione del videogioco. Sia chiaro, i punti in comune tra i lavori di Team Ninja e quelli “originali” di FromSoftware rimangono comunque tanti, ma la compagnia di Tokyo ha saputo lavorare in maniera molto intelligente nel dare un’impronta marcatamente “propria” e autentica a quello che ha saputo diventare una sorta di sottogenere nel sottogenere. Il primo grande nome è sicuramente Ni-oH, un prodotto che chi vi scrive ha sviscerato ed esplorato come poche cose al mondo, lasciandosi traportare dalla voglia irrefrenabile di spazzare via yokai e demoni di ogni sorta per oltre due centinaia di ore. Ni-oH ha saputo “fare il botto”: il soulslike capostipite della scuderia di Team Ninja è arrivato sul mercato carico di aspettative, sia della critica sia degli affamati di produzioni a tema, desiderosi di tornare a morire più e più volte sotto i devastanti e inesorabili attacchi nemici, aspettative che, in larga parte, sono state rispettate. Ereditando con forza la struttura trial and error tipica dei giochi di FromSoftware, con tanto di meccanica del “riprendere le anime lasciate per terra”, ampliata con diverse altre magagne videoludiche, la compagnia nipponica ha confezionato un prodotto se vogliamo ancor più solido e complesso ludicamente parlando, che affonda le sue radici anche in una vena ruolistica ancor più marcata di quanto non lo sia quella che pervade le produzioni di Miyazaki & co. Nioh è stato un prodotto solido, con le idee molto chiare, e lo si è capito subito, sin dalle demo che accompagnarono il lancio del gioco, che evidenziarono sin da subito la voglia, doverosa e irrefrenabile, di prendere le distanze da quanto fatto dalla concorrenza, seppur però cercando di rimanere in qualche modo in scia, di plasmare, riuscendoci per giunta sotto diversi aspetti, un prodotto tanto simile quanto diverso. Con Ni-oH, i ragazzi di Team Ninja hanno provato a distaccarsi da FromSoftware giocando, fondamentalmente, “in casa”. Del resto, se abbiamo una certezza, è che i ragazzi di Team Ninja sono dei veri maestri quando si tratta di lavorare sul gameplay e sul combat system in particolare, un aspetto che ha giocato un ruolo fondamentale proprio nella concezione e nello sviluppo di un prodotto incredibilmente sfaccettato e variegato proprio dal punto di vista delle possibilità videoludiche. È proprio questo il principale “punto di rottura” in seno alle due filosofie di gioco sull’interpretazione del gameplay. A differenza di From, che punta e ha sempre puntato anche sul fattore emozionale, sul piacere della scoperta e del lasciarsi andare alla violenza malata dei suoi mondi di gioco, Team Ninja ha invece optato per dare ai giocatori un videogioco nel senso più stretto della parola, con possibilità di personalizzazione e di gestione degli scontri decisamente più ampie. Sfruttando le proprie competenze, maturate proprio con i lavori precedenti a cui si è dedicata, Team Ninja ha confezionato un action-GDR, di stampo “soulslike” di primissimo livello, capace di offrire al giocatore un’infinità di modi diversi per andare a caccia di demoni e yokai nel modo che si preferisce, grazie ad una vastissima gamma di scelte che sin dalle prime battute travolgono il giocatore per quantità e varietà. Tra ninjutsu (figli di Ninja Gaiden), magie, spiriti guida, invocazioni e soprattutto una batteria di armi tanto ampia quanto corposa, Nioh ha saputo sfondare il confine tra i “soulslike” e gli action-gdr più classici, creando in qualche modo un sottogenere nel sottogenere, senza mai sfigurare negli ovvi paragoni fatti con i lavori di FromSoftware da cui, come dicevamo poc’anzi, il titolo ha comunque ereditato in maniera evidente diversi tratti fondamentali della sua natura. Team Ninja, insomma, ce l’ha fatta, ha saputo creare il suo “soulslike”, nel modo più semplice e scontato, ossia portare avanti la sua filosofia, senza per forza di cose schiantarsi contro il muro della “copia ossessiva”, che ha invece bloccato diversi altri publisher, incapaci di affermarsi proprio per l’assenza di idee in un certo senso originali e di rottura con il materiale di partenza.Ni-oH, Stranger of Paradise e Wu Long Fallen Dinasty: il futuro di Team Ninja e dei suoi “soulslike” Si dice, in gergo sportivo ma non soltanto, che “squadra che vince non si cambia” e Team Ninja (ma anche From, per diverso tempo) ha incarnato alla perfezione questa filosofia nella creazione dei suoi lavori successivi, pubblicati e in via di sviluppo. Ni-oH 2, che ha seguito il suo predecessore a distanza di qualche anno, ha rappresentato proprio questo, una naturale evoluzione della filosofia della compagnia e, di conseguenza, di quello che è stato il primo Ni-oH, con grande gioia dei giocatori appassionati ma anche con un pizzico di rabbia per la mancanza di un po’ di voglia in più di “osare” e di portare su schermo qualcosa di veramente innovativo. Ni-oH 2 ha ampliato ma non ha alterato la filosofia di gioco di Team Ninja, ha ampliato ma non ha esteso la filosofia “soulslike” del team nipponico, riuscendo comunque a risultare un capitolo solido e appassionante, caratterizzato, come il suo predecessore ma anche di più, da una varietà di soluzioni ludiche imponente, fino a rappresentare un vero parco giochi per gli amanti del genere, chiamati a massacrare un numero ancora maggiore di creature prese a piene mani dal folklore nipponico e adattate in salsa videoludica con i dovuti attributi. Ni-oH 2 ha dunque mancato l’appuntamento con la rivoluzione, ma siamo sicuri che Team Ninja abbia veramente l’intenzione di cambiare il suo credo soulslike? La risposta è complessa anche perché, al netto della volontà di provare a inventare qualcosa di “diverso” con Stranger of Paradise Final Fantasy Origin non ha portato ai frutti sperati. Certo, l’ultimo lavoro del team, legato profondamente al bestiario e all’immaginario del brand Final Fantasy si è trascinato dietro ben altri problemi, ,ma è evidente che il potenziale, dal punto di vista del gameplay c’è, per quanto comunque è chiaro che alcune cose cominciano a “funzionare” diversamente bene. La risposta, per riprendere il discorso precedente, al quesito di partenza è complessa e a darla sarà chiamato Wu Long Fallen Dynasty , nuova fatica del team di sviluppo chiamata a provare a replicare a FromSoftware che, con il suo Elden Ring, ha dimostrato di saper muoversi al di là della propria comfort zone piuttosto abilmente. Wu Long Fallen Dynasty, è l’ennesimo esponente di un sottogenere e di un credo videoludico ben preciso, ma tutt’altro che “spento” sul piano delle idee. Il nuovo lavoro di Team Ninja, che abbiamo avuto anche modo di provare grazie alla demo pubblica distribuita dallo sviluppatore nei mesi scorsi, ha evidenziato la grande cura con cui il team lavora alle sue produzioni sul piano dell’ispirazione tematica, che stavolta affonda le proprie radici nella cultura cinese e nel culto del Wu Xing, l’ordine dei cinque elementi. Attorno a questa dottrina dei cinque elementi, Fuoco, Metallo, Legno, Acqua e Terra, ruotano anche i diversi stilemi ludici dell’avatar del gioco, a cui si aggiungono elementi quali spirito guida, affinità con le armi e via dicendo, in un soulslike che si preannuncia ancor più fluido, dinamico, stiloso e spietatamente brutale di quanto visto in passato, ma soprattutto sempre più volenteroso di risultare un titolo in salsa più ruolistica di quanto si voglia credere. Wu Long Fallen Dynasty, sembra voler rappresentare la definitiva maturità in tema di soulslike (e non solo) di Team Ninja. Il team di sviluppo sembra aver tirato su un ottimo compromesso tra novità e ovvie derivazioni, che sembrano comunque avere le carte in regola per spingere l’immaginario creativo della software house a un livello superiore, seppur però senza rivoluzioni, stravolgimenti o scossoni vari, almeno in apparenza. Del resto, onestamente, non ci saremmo aspettati niente di diverso e siamo sinceramente curiosi e desiderosi di rimettere mano sul nuovo soulslike del team di Tokyo, e per fortuna l’attesa non sarà così lunga, con il titolo in arrivo il prossimo febbraio e che sarà anche disponibile sin dal day one nel servizio in abbonamento Xbox Game Pass targato Microsoft.Da Demon’s Souls a Elden Ring: i soulslike di chi i soulslike li ha creati! L’analisi del termine “soulslike”, quando si parla di FromSoftware, assume ovviamente un sapore diverso. La compagnia nipponica capeggiata da Hidetaka Miyazaki ha di fatto dato i natali al sottogenere in questione, con un’idea di fondo che, per quanto abbia diversi tratti in comune con quella di Team Ninja, prende le distanze in maniera evidente sotto diversi aspetti. In primis, e lo abbiamo accennato anche poc’anzi, il “soulslike” originale ha dettami che non abbracciano soltanto l’aspetto videoludico, ma avvolgono la struttura delle produzioni sotto diverse angolazioni e a trecentosessanta gradi. Il “soulslike” secondo FromSoftware non è soltanto il videogioco difficile e punitivo, fatto di prove, tentativi e della necessità di padroneggiare precise meccaniche per poter proseguire e vivere più a lungo, bensì un ecosistema ben più complesso e sfaccettato. Partendo dallo stile narrativo criptico e affidato alla lettura delle descrizioni ed alla scoperta di nuovi “indizi”, finendo con una libertà esplorativa (quasi sempre ma non sempre) praticamente infinita e se vogliamo “obbligatoria” se si vuole vivere veramente l’esperienza completa, la stessa concezione del termine assume un potere a livello anche del significato ben diverso e più ampio. Per FromSoftware, insomma, il “soulslike” è molto di più del mero gioco difficile e impossibile da finire, una sorta di classificazione che ci è capitato spesso di sentire ultimamente e che non rende giustizia a una struttura videoludica che per certi versi ci ricorda una gigantesca matriosca che, in fin dei conti, non ha mai smesso di stupire, al di là del concetto relativo al riciclo di alcune soluzioni ludiche e narrative. Questo aspetto, questa voglia innata di frantumare le leggi della “normalità”, lo abbiamo assaggiato principalmente, ad esempio, con il primo Dark Souls, ancora oggi considerato uno dei massimi esponenti del settore in termini world e level design, inarrivabile e inimitabile, al netto degli oltre dieci anni di vita sulle spalle. Il gameplay del primo Dark Souls, inoltre, per quanto acerbo e ricco di limitazioni di natura tecnica e strutturale, ha comunque aperto le strade a un’infinità di nuove ideologie di videogioco, ereditate con alterne fortune dai suoi stessi sequel, tutti comunque in qualche modo unici e allo stesso modo difficilmente dimenticabili. E, se Dark Souls 2 è stato considerato un po’ troppo bruscamente una sorta di “incidente di percorso” per diverse ragioni che non vogliamo star qui ad elencarvi, Bloodborne e soprattutto Dark Souls 3 hanno avuto il grande merito di espandere in maniera ancor più massiccia il concetto stesso del termine “soulslike” seppur con dinamiche e soluzioni strutturali diverse. Bloodborne ha demolito le convinzioni dei giocatori legati all’immaginario di FromSoftware, portando sugli schermi un nuovo modo di essere un “soulslike”. Più veloce, meno dispersivo, più brutale, più oscuro: Bloodborne ha ampliato la concezione del termine su livelli inimmaginabili, aprendo le danze per quello che è stato il primo tassello di un percorso evolutivo lento ma inesorabile. Dark Souls 3, invece, ha fatto un piccolo passo indietro, ma non per forza in senso negativo. L’idea di “soulslike” secondo FromSoftware è tornata su binari più familiari con il terzo capitolo numerato della “serie principale” ma senza disdegnare la voglia di osare e di provare a creare nuove soluzioni, che hanno avvicinato sempre di più l’idea del videogioco a una concezione più ruolistica e meno action. Questa voglia di adattarsi in qualche modo agli eventi correnti e al gusto in continua evoluzione dei giocatori ha trovato il proprio climax con Elden Ring, senza ombra di dubbio l’opera più gigantesca in termini sia quantitativi sia soprattutto qualitativi di FromSofware. Con Elden Ring, FromSoftware ha spinto il concetto di “soulslike” sempre più in alto, riuscendo a far combaciare il suo stile con lo stile più “massivo” dell’open world e di un role play più sviluppato e soprattutto centrale. Elden Ring , di fatto, ha fatto sì che FromSofware iniziasse a strizzare un po’, a sua volta, l’occhio verso la concorrenza, con un piglio qualitativo che però ci sentiamo di definire certamente superiore sotto diversi aspetti. Il concetto di “trial and error” si è piegato a soluzioni più vaste, a un mondo più ampio ed a un videogioco concepito in maniera differente, figlio soprattutto della naturale evoluzione del medium ma mai veramente invalidante. E se il futuro dei soulslike per Team Ninja si chiama Wu Long Fallen Dynasty non sappiamo ancora cosa bolle nella pentola di casa FromSoftware, ma siamo pronti a scommettere che le due scuole di pensiero continueranno a darsi battaglia senza esclusioni, è il caso di dirlo, di colpi. Tags Dark Souls Elden Ring FromSoftware Ni-oH Soulslike Stranger of Paradise Final Fantasy Origin Team Ninja Wu Long Fallen Dynasty Salvatore Cardone Ho imparato a conoscere l'arte del videogioco quando avevo appena sette anni, grazie all'introduzione nella mia vita di un cimelio mai dimenticato: il SEGA Master System. Venticinque anni dopo, con qualche conoscenza e titoli di studio in più, ma pochi centimetri di differenza, eccomi qui, pronto a padroneggiare nel migliore dei modi l'arte dell'informazione videoludica. Chiaramente, il tutto tra un pizza e l'altra. 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Il termine “soulslike” ha invaso e monopolizzato la sfera videoludica dell’ultimo decennio. La sopracitata nomenclatura, coniata un po’ “per scherzo” per identificare una determinata e specifica tipologia di produzioni, ha finito col diventare un pezzo fondamentale del medium videoludico, con una forza e una velocità di diffusione impensabili e inimmaginabili. Sono passati ormai quasi quindici anni dall’arrivo sul mercato del primo “Souls”, quel Demon’s creato dalla visionaria mente di Hidetaka Miyazaki e dai ragazzi di FromSoftware – di cui abbiamo anche goduto di uno splendido remake qualche anno fa, targato Bluepoint Games – che, in maniera completamente ignara, all’epoca, ha rappresentato il pioniere di un sottogenere videoludico destinato a fare la differenza. E proprio dal nome Demon’s Souls e successivamente Dark Souls (e “figli”) nasce il concetto di “soulslike”, che si è affermato definitivamente soprattutto quando altre compagnie hanno provato a replicare, con fortune e metodologie diverse, il lavoro di FromSoftware, proprio con dei prodotti “ispirati a” e con cui, ovviamente, il termine “soulslike” ossia “come i Souls”, si è sposato a pannello. Come dicevamo poc’anzi, però, non tutti (in realtà in pochi) hanno saputo centrare il target prefissato. Riuscire a “replicare” il lavoro di From non è affatto facile e, per quanto in tanti ci abbiano provato in maniera anche coraggiosa, è chiaro che non tutti hanno centrato il difficile obiettivo. Per fortuna, però, alcuni sviluppatori hanno saputo tirare fuori il proverbiale coniglio dal cilindro, riuscendo a confezionare dei “soulslike” che rappresentano al meglio il termine stesso: come i souls, ma non una copia esatta. Anzi. E, ovviamente, quello che si è affermato maggiormente è senza dubbio Team Ninja , capace, coi suoi lavori, di diventare una sorta di principale “antagonista” di From nella concezione della tipologia di giochi in questione. In che modo? Scopriamolo insieme, in questo viaggio all’interno di uno dei più apprezzati dualismi degli ultimi anni in salsa videoludica.

Partiamo subito da un’importantissima precisazione: Team Ninja non ha mai “copiato” FromSoftware, né vuole farlo, nella creazione delle sue opere principali a tema, ed è stata proprio questa la principale fortuna del team fondato da Itagaki-sensei. La compagnia che ha dato i natali a opere stilose quali Dead or Alive e al reboot in salsa stylish action di Ninja Gaiden ha lavorato a testa bassa, lasciandosi trasportare non tanto dalla voglia di provare ad imitare i dogmi delle produzioni della concorrenza, bensì cercando di plasmarne la natura in base ai propri concetti imprescindibili e alla propria visione del videogioco. Sia chiaro, i punti in comune tra i lavori di Team Ninja e quelli “originali” di FromSoftware rimangono comunque tanti, ma la compagnia di Tokyo ha saputo lavorare in maniera molto intelligente nel dare un’impronta marcatamente “propria” e autentica a quello che ha saputo diventare una sorta di sottogenere nel sottogenere. Il primo grande nome è sicuramente Ni-oH, un prodotto che chi vi scrive ha sviscerato ed esplorato come poche cose al mondo, lasciandosi traportare dalla voglia irrefrenabile di spazzare via yokai e demoni di ogni sorta per oltre due centinaia di ore. Ni-oH ha saputo “fare il botto”: il soulslike capostipite della scuderia di Team Ninja è arrivato sul mercato carico di aspettative, sia della critica sia degli affamati di produzioni a tema, desiderosi di tornare a morire più e più volte sotto i devastanti e inesorabili attacchi nemici, aspettative che, in larga parte, sono state rispettate. Ereditando con forza la struttura trial and error tipica dei giochi di FromSoftware, con tanto di meccanica del “riprendere le anime lasciate per terra”, ampliata con diverse altre magagne videoludiche, la compagnia nipponica ha confezionato un prodotto se vogliamo ancor più solido e complesso ludicamente parlando, che affonda le sue radici anche in una vena ruolistica ancor più marcata di quanto non lo sia quella che pervade le produzioni di Miyazaki & co. Nioh è stato un prodotto solido, con le idee molto chiare, e lo si è capito subito, sin dalle demo che accompagnarono il lancio del gioco, che evidenziarono sin da subito la voglia, doverosa e irrefrenabile, di prendere le distanze da quanto fatto dalla concorrenza, seppur però cercando di rimanere in qualche modo in scia, di plasmare, riuscendoci per giunta sotto diversi aspetti, un prodotto tanto simile quanto diverso.

Con Ni-oH, i ragazzi di Team Ninja hanno provato a distaccarsi da FromSoftware giocando, fondamentalmente, “in casa”. Del resto, se abbiamo una certezza, è che i ragazzi di Team Ninja sono dei veri maestri quando si tratta di lavorare sul gameplay e sul combat system in particolare, un aspetto che ha giocato un ruolo fondamentale proprio nella concezione e nello sviluppo di un prodotto incredibilmente sfaccettato e variegato proprio dal punto di vista delle possibilità videoludiche. È proprio questo il principale “punto di rottura” in seno alle due filosofie di gioco sull’interpretazione del gameplay. A differenza di From, che punta e ha sempre puntato anche sul fattore emozionale, sul piacere della scoperta e del lasciarsi andare alla violenza malata dei suoi mondi di gioco, Team Ninja ha invece optato per dare ai giocatori un videogioco nel senso più stretto della parola, con possibilità di personalizzazione e di gestione degli scontri decisamente più ampie. Sfruttando le proprie competenze, maturate proprio con i lavori precedenti a cui si è dedicata, Team Ninja ha confezionato un action-GDR, di stampo “soulslike” di primissimo livello, capace di offrire al giocatore un’infinità di modi diversi per andare a caccia di demoni e yokai nel modo che si preferisce, grazie ad una vastissima gamma di scelte che sin dalle prime battute travolgono il giocatore per quantità e varietà. Tra ninjutsu (figli di Ninja Gaiden), magie, spiriti guida, invocazioni e soprattutto una batteria di armi tanto ampia quanto corposa, Nioh ha saputo sfondare il confine tra i “soulslike” e gli action-gdr più classici, creando in qualche modo un sottogenere nel sottogenere, senza mai sfigurare negli ovvi paragoni fatti con i lavori di FromSoftware da cui, come dicevamo poc’anzi, il titolo ha comunque ereditato in maniera evidente diversi tratti fondamentali della sua natura. Team Ninja, insomma, ce l’ha fatta, ha saputo creare il suo “soulslike”, nel modo più semplice e scontato, ossia portare avanti la sua filosofia, senza per forza di cose schiantarsi contro il muro della “copia ossessiva”, che ha invece bloccato diversi altri publisher, incapaci di affermarsi proprio per l’assenza di idee in un certo senso originali e di rottura con il materiale di partenza.

Si dice, in gergo sportivo ma non soltanto, che “squadra che vince non si cambia” e Team Ninja (ma anche From, per diverso tempo) ha incarnato alla perfezione questa filosofia nella creazione dei suoi lavori successivi, pubblicati e in via di sviluppo. Ni-oH 2, che ha seguito il suo predecessore a distanza di qualche anno, ha rappresentato proprio questo, una naturale evoluzione della filosofia della compagnia e, di conseguenza, di quello che è stato il primo Ni-oH, con grande gioia dei giocatori appassionati ma anche con un pizzico di rabbia per la mancanza di un po’ di voglia in più di “osare” e di portare su schermo qualcosa di veramente innovativo. Ni-oH 2 ha ampliato ma non ha alterato la filosofia di gioco di Team Ninja, ha ampliato ma non ha esteso la filosofia “soulslike” del team nipponico, riuscendo comunque a risultare un capitolo solido e appassionante, caratterizzato, come il suo predecessore ma anche di più, da una varietà di soluzioni ludiche imponente, fino a rappresentare un vero parco giochi per gli amanti del genere, chiamati a massacrare un numero ancora maggiore di creature prese a piene mani dal folklore nipponico e adattate in salsa videoludica con i dovuti attributi. Ni-oH 2 ha dunque mancato l’appuntamento con la rivoluzione, ma siamo sicuri che Team Ninja abbia veramente l’intenzione di cambiare il suo credo soulslike? La risposta è complessa anche perché, al netto della volontà di provare a inventare qualcosa di “diverso” con Stranger of Paradise Final Fantasy Origin non ha portato ai frutti sperati. Certo, l’ultimo lavoro del team, legato profondamente al bestiario e all’immaginario del brand Final Fantasy si è trascinato dietro ben altri problemi, ,ma è evidente che il potenziale, dal punto di vista del gameplay c’è, per quanto comunque è chiaro che alcune cose cominciano a “funzionare” diversamente bene. La risposta, per riprendere il discorso precedente, al quesito di partenza è complessa e a darla sarà chiamato Wu Long Fallen Dynasty , nuova fatica del team di sviluppo chiamata a provare a replicare a FromSoftware che, con il suo Elden Ring, ha dimostrato di saper muoversi al di là della propria comfort zone piuttosto abilmente.

Wu Long Fallen Dynasty, è l’ennesimo esponente di un sottogenere e di un credo videoludico ben preciso, ma tutt’altro che “spento” sul piano delle idee. Il nuovo lavoro di Team Ninja, che abbiamo avuto anche modo di provare grazie alla demo pubblica distribuita dallo sviluppatore nei mesi scorsi, ha evidenziato la grande cura con cui il team lavora alle sue produzioni sul piano dell’ispirazione tematica, che stavolta affonda le proprie radici nella cultura cinese e nel culto del Wu Xing, l’ordine dei cinque elementi. Attorno a questa dottrina dei cinque elementi, Fuoco, Metallo, Legno, Acqua e Terra, ruotano anche i diversi stilemi ludici dell’avatar del gioco, a cui si aggiungono elementi quali spirito guida, affinità con le armi e via dicendo, in un soulslike che si preannuncia ancor più fluido, dinamico, stiloso e spietatamente brutale di quanto visto in passato, ma soprattutto sempre più volenteroso di risultare un titolo in salsa più ruolistica di quanto si voglia credere. Wu Long Fallen Dynasty, sembra voler rappresentare la definitiva maturità in tema di soulslike (e non solo) di Team Ninja. Il team di sviluppo sembra aver tirato su un ottimo compromesso tra novità e ovvie derivazioni, che sembrano comunque avere le carte in regola per spingere l’immaginario creativo della software house a un livello superiore, seppur però senza rivoluzioni, stravolgimenti o scossoni vari, almeno in apparenza. Del resto, onestamente, non ci saremmo aspettati niente di diverso e siamo sinceramente curiosi e desiderosi di rimettere mano sul nuovo soulslike del team di Tokyo, e per fortuna l’attesa non sarà così lunga, con il titolo in arrivo il prossimo febbraio e che sarà anche disponibile sin dal day one nel servizio in abbonamento Xbox Game Pass targato Microsoft.

L’analisi del termine “soulslike”, quando si parla di FromSoftware, assume ovviamente un sapore diverso. La compagnia nipponica capeggiata da Hidetaka Miyazaki ha di fatto dato i natali al sottogenere in questione, con un’idea di fondo che, per quanto abbia diversi tratti in comune con quella di Team Ninja, prende le distanze in maniera evidente sotto diversi aspetti. In primis, e lo abbiamo accennato anche poc’anzi, il “soulslike” originale ha dettami che non abbracciano soltanto l’aspetto videoludico, ma avvolgono la struttura delle produzioni sotto diverse angolazioni e a trecentosessanta gradi. Il “soulslike” secondo FromSoftware non è soltanto il videogioco difficile e punitivo, fatto di prove, tentativi e della necessità di padroneggiare precise meccaniche per poter proseguire e vivere più a lungo, bensì un ecosistema ben più complesso e sfaccettato. Partendo dallo stile narrativo criptico e affidato alla lettura delle descrizioni ed alla scoperta di nuovi “indizi”, finendo con una libertà esplorativa (quasi sempre ma non sempre) praticamente infinita e se vogliamo “obbligatoria” se si vuole vivere veramente l’esperienza completa, la stessa concezione del termine assume un potere a livello anche del significato ben diverso e più ampio. Per FromSoftware, insomma, il “soulslike” è molto di più del mero gioco difficile e impossibile da finire, una sorta di classificazione che ci è capitato spesso di sentire ultimamente e che non rende giustizia a una struttura videoludica che per certi versi ci ricorda una gigantesca matriosca che, in fin dei conti, non ha mai smesso di stupire, al di là del concetto relativo al riciclo di alcune soluzioni ludiche e narrative. Questo aspetto, questa voglia innata di frantumare le leggi della “normalità”, lo abbiamo assaggiato principalmente, ad esempio, con il primo Dark Souls, ancora oggi considerato uno dei massimi esponenti del settore in termini world e level design, inarrivabile e inimitabile, al netto degli oltre dieci anni di vita sulle spalle. Il gameplay del primo Dark Souls, inoltre, per quanto acerbo e ricco di limitazioni di natura tecnica e strutturale, ha comunque aperto le strade a un’infinità di nuove ideologie di videogioco, ereditate con alterne fortune dai suoi stessi sequel, tutti comunque in qualche modo unici e allo stesso modo difficilmente dimenticabili.

E, se Dark Souls 2 è stato considerato un po’ troppo bruscamente una sorta di “incidente di percorso” per diverse ragioni che non vogliamo star qui ad elencarvi, Bloodborne e soprattutto Dark Souls 3 hanno avuto il grande merito di espandere in maniera ancor più massiccia il concetto stesso del termine “soulslike” seppur con dinamiche e soluzioni strutturali diverse. Bloodborne ha demolito le convinzioni dei giocatori legati all’immaginario di FromSoftware, portando sugli schermi un nuovo modo di essere un “soulslike”. Più veloce, meno dispersivo, più brutale, più oscuro: Bloodborne ha ampliato la concezione del termine su livelli inimmaginabili, aprendo le danze per quello che è stato il primo tassello di un percorso evolutivo lento ma inesorabile. Dark Souls 3, invece, ha fatto un piccolo passo indietro, ma non per forza in senso negativo. L’idea di “soulslike” secondo FromSoftware è tornata su binari più familiari con il terzo capitolo numerato della “serie principale” ma senza disdegnare la voglia di osare e di provare a creare nuove soluzioni, che hanno avvicinato sempre di più l’idea del videogioco a una concezione più ruolistica e meno action. Questa voglia di adattarsi in qualche modo agli eventi correnti e al gusto in continua evoluzione dei giocatori ha trovato il proprio climax con Elden Ring, senza ombra di dubbio l’opera più gigantesca in termini sia quantitativi sia soprattutto qualitativi di FromSofware. Con Elden Ring, FromSoftware ha spinto il concetto di “soulslike” sempre più in alto, riuscendo a far combaciare il suo stile con lo stile più “massivo” dell’open world e di un role play più sviluppato e soprattutto centrale.

Elden Ring , di fatto, ha fatto sì che FromSofware iniziasse a strizzare un po’, a sua volta, l’occhio verso la concorrenza, con un piglio qualitativo che però ci sentiamo di definire certamente superiore sotto diversi aspetti. Il concetto di “trial and error” si è piegato a soluzioni più vaste, a un mondo più ampio ed a un videogioco concepito in maniera differente, figlio soprattutto della naturale evoluzione del medium ma mai veramente invalidante. E se il futuro dei soulslike per Team Ninja si chiama Wu Long Fallen Dynasty non sappiamo ancora cosa bolle nella pentola di casa FromSoftware, ma siamo pronti a scommettere che le due scuole di pensiero continueranno a darsi battaglia senza esclusioni, è il caso di dirlo, di colpi.

Ho imparato a conoscere l'arte del videogioco quando avevo appena sette anni, grazie all'introduzione nella mia vita di un cimelio mai dimenticato: il SEGA Master System. Venticinque anni dopo, con qualche conoscenza e titoli di studio in più, ma pochi centimetri di differenza, eccomi qui, pronto a padroneggiare nel migliore dei modi l'arte dell'informazione videoludica. Chiaramente, il tutto tra un pizza e l'altra.